Giornata della memoria, i miei pensieri da Auschwitz – Non scrivo quasi mai post che siano solo emozionali, perché penso che i viaggiatori, come lo sono io, insieme alle emozioni cerchino anche delle informazioni.
Ma oggi farò un’eccezione perché credo che sia impossibile raccontare luoghi come i campi di concentramento senza passare per le “emozioni”. Perché di ragione, qui, non si può parlare.
Ma ho raccolto le informazioni per la visita nel post Auschwitz-Birkenau, consigli e informazioni per la visita
Cos’è la giornata della Memoria?
Quest'articolo parla di:
Solo una data, purtroppo. Il 27 gennaio, un giorno come tanti segnato sul calendario.
Il 27 gennaio del 1945 l’esercito russo entrò ad Auschwitz e liberò i prigionieri sopravvissuti alla follia del progetto nazista.
In Italia la Giornata della Memoria si celebra dal 2000, dal 2005 la data è stata estesa a tutti gli stati membri dell’ONU.
La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, “Giorno della Memoria”, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati.
La “mia” Giornata della Memoria
La mia Giornata della Memoria è diversa da quando ho visitato per la prima volta ad Auschwitz e Birkenau in occasione del mio viaggio a Cracovia.
Provo quasi un senso di “imbarazzo” nel tentare di raccontare questa visita e le emozioni, i pensieri, i turbamenti che porta con sé. Ma mi viene in mente quanto scritto dalla collega Simona Scacheri di Fringe in Travel: “Andare ad Auschwitz-Birkenau comporta un dovere morale, a mio avviso: quello di raccontarlo. A tutti. Sempre. Partendo dagli amici vicini, colleghi e poi sconosciuti. Se vi capita di incontrare qualcuno sul bus, ditelo anche a lui.”
È proprio vero, è proprio così.
Lo pensi anche quando sei lì. Ad Auschwitz, tra le foto e gli oggetti che raccontano le vite spezzate di intere famiglie.
Persone con un lavoro, una vita, una casa, dei sogni, dei progetti. Spazzati via. Ma non come fa il vento con le foglie, o come fa un’onda con la sabbia. Oh, no. In maniera crudele, spietata, violenta. Con l’inganno, promettendo una nuova vita, una vita di lavoro, certo, una vita non più libera come la precedente, ma comunque una vita di dignità.
Ed eccoli quindi migliaia e migliaia (Signore, più di un milione di persone!) arrivare ad Auschwitz, in questa vecchia caserma a 1 ora da Cracovia, in Polonia, che in poco tempo si trasformò in una città di morte.
Sulle loro grandi valigie, scrivevano i loro nomi, così che potesse essere facile, poi, ritrovare le proprie cose.
E tu, Chiara, cosa porteresti con te, se fossi costretta a lasciare la tua casa? Lasciare la mia casa? Prendere… cosa prenderei, io non lo so, ecco forse qualche foto, sì. Qualche ricordo. Sì, ecco qualche ricordo delle persone a cui voglio bene. Ma io, ecco, io non voglio lasciare la mia casa.
Ma quegli oggetti non sarebbero mai serviti se non a riempire i grandi container che avrebbero arricchito l’esercito tedesco. Come “Canada”. Oro, occhiali, pettini, scarpe, gioielli, e qualsiasi cosa potesse essere rivenduta veniva sequestrata ai prigionieri. Insieme alla loro dignità.
Ho passeggiato tra i blocchi che componevano questo piccolo villaggio ordinato. C’era la neve per terra, proprio come quel 27 gennaio di 76 anni fa. Settantadue anni fa. Non migliaia di anni fa, solo 76.
Ho passeggiato tra quei vialetti e ho guardato quelle migliaia di scarpe, di capelli, di occhiali, di valigie, cercando di rubare una qualsiasi cosa che potesse parlarmi di vita, di speranza, di gioia. Del sogno di qualcuno, che magari non lo vedevo ma era lì in mezzo. Ed è proprio lì, in quel momento in cui mi sono resa conto che tutto lì parlava solo di morte, che ho provato paura. Anzi, non, non si trattava di morte. Si trattava di sterminio.
Di bambini strappati alle madri perché non idonei al lavoro. Loro venivano immediatamente mandati alle camere a gas. Di donne costrette a spogliarsi lì, tutte insieme, al freddo o al caldo, in attesa che si liberassero i bagni. Avevano fatto ore, giorni, a volte settimane di viaggio stivate come bestie.
Hai freddo vero Chiara? Ci sono meno venti gradi. Li senti i piedi? No, vero? Sono dei blocchi unici, non senti più nulla. Hai le calze termiche e gli stivali da neve, con il pelo. Perché non dici che hai freddo Chiara? Hai la brina nel naso. Perché ti vergogni. Ti vergogni perché sai che loro qui erano nude. O avevano addosso pochi stracci.
Ti vergogni Chiara, ma sei stupida sai, perché la tua vergogna non salverà nessuno.
E quando i bagni erano liberi, via la corsa per rinfrescarsi, per togliersi di dosso quella sporcizia e quella stanchezza. Ma da quei bagni non uscivano più. Oh sì, certo, uscivano, ma come cadaveri. Subito deprivate dei loro capelli, e dei denti d’oro. E poi ammucchiate l’una sopra l’altra e ridotte in polvere dai forni crematori.
Hai visto, Chiara? Anche a morire bisogna esser fortunati, sai? Non è vero che da morti siamo tutti uguali. Ti sembrano uguali quei corpi ammassati? Uguali a cosa? A bestie? A fantocci Chiara? Pensi che oggi muoiano tutti nel loro letto?
Ma quello spazio a un certo punto non bastò più per contenere la follia omicida dei nazisti. Ecco perché nacque, a 3 chilometri di distanza, Birkenau. O Auschwitz 2, come veniva chiamata all’epoca. Ancora più grande, ancora più folle.
Un binario morto accompagnava i prigionieri alla loro fine. Una fine sempre più vicina, che spesso saltava ogni registrazione o riconoscimento. Una fine che doveva essere veloce, una fine che accorciava sempre più le distanze. E quel binario morto che noi tutti conosciamo, negli ultimi mesi del 1944 venne allungato per arrivare più vicino alle camere a gas.
Viaggio.
Treno.
Binario.
Morte.
Non è vero che viviamo la vita che vogliamo Chiara, lo sai vero?
La mia Giornata della Memoria, da due anni a questa parte, è diversa, perché ho visto con i miei occhi quello che rimane di una pagina della Storia contemporanea di cui io mi vergogno. Di cui noi tutti ci dovremmo vergognare ogni giorno.
Mentre passeggiamo, mentre saliamo sull’autobus o prepariamo da mangiare. Dov’era l’uomo in quei giorni? Cos’è successo all’Umanità 74 anni fa?
Cosa succede, ancora, all’uomo, quando dimentica il rispetto dei suoi simili, quando calpesta la dignità, quando usa la violenza, l’inganno, la crudeltà?
La mia Giornata della Memoria, da quel giorno, è diversa. Perché per la prima volta nella mia vita ho pensato che tutto quell’orrore è solo e soltanto prodotto dall’Umanità. E l’Umanità siamo noi.
Pensa, Chiara. Solo poco più di 70 anni fa. Credi davvero non potrebbe accadere mai più?
5 Comments
….
Senza parole.
Ho tanta paura di visitare i campi di sterminio, ho proprio paura di capire che tale assurda atrocità ha avuto origine “umana”..ma penso che ci andrò…
Proprio così… e la cosa più brutta è rendersi conto che questo pezzo di storia non ci mette al riparo da altri accadimenti simili 🙁
Cara Chiara, bellissimo reportage:
Penso che non lo dimenticherai mai più quel posto.
Io, al ritorno, non ebbi il coraggio di scrivere le emozioni.
Non ne ho avuto la forza.
Grazie di averlo fatto anche per me.
Un abbraccio.
Caro Giacomo, grazie delle tue parole, sempre gentili e delicate! Sai, io non credo sia stata una questione di forza nel mio caso, ma forse più di egoistica necessità di tirar fuori un pezzo di “dolore”.
Un caro abbraccio!
❤️❤️❤️